Pubblichiamo un secondo report di su un laboratorio di degustazione a cui abbiamo partecipato durante il Salone del Gusto. Ci stacchiamo per un momento dal Belgio raccontandovi “ Ai confini della Birra”.
(laboratorio guidato da Kuaska, venerdi 24 ottobre 2008)
Cronologicamente questo laboratorio viene prima di quello dedicato agli American Beer Poets, ma "gustativamente" l’ho messo dopo, nel senso che una volta assaggiati gli "estremismi" produttivi degli americani, i "confini" produttivi degli italiani sono stati, a mio parere, molto meno estremi, e di più facile attraversamento.
Guidati dal guru , Kuaska, ben coadiuvato da Luca Giaccone, preciso, puntuale, informatissimo, sul palco del laboratorio si sono schierati 6 mastribirrai italiani, portando con sé una bella panoramica della produzione artigianale italiana, frutto del proprio estro produttivo. E l’orizzonte gustativo che ha presentato Kuaska al folto numero dei partecipanti è apparso subito più che variegato: dalla prima lambic tutta italiana alla celebrazione del luppolo, profuso abbondantemente nella H10OP5 , passando per la birra alle carrube, per finire ad una vera e propria anteprima del Birrificio del Borgo. Pochi i preamboli; non del tutto necessari, a mio parere, quelli (ripetuti) dedicati alla "Guida alle birre d’Italia" che Slowfood ha presentato proprio al Salone di Torino, e che meriterebbe un discorso a parte (non del tutto positivo). Kuaska si è lanciato subito nella celebrazione della ricchezza del panorama birrario artigianale italiano, delle capacità tecniche di qualche mastro birraio ormai vicina all’eccellenza e della fantasia produttiva che non necessariamente (per fortuna) fa rima con "stranezze produttive". Ed ha lasciato poi che fossero i singoli mastri birrai a prendere in mano la barra del comando, perché così doveva essere.
Ha cominciato Renzo Losi, mastro birraio della Panil di Torrechiara con la sua particolarissima Divina, una lambic di 5,5°, biondo velata. E’ stato chiaro e diretto Renzo Losi nel cercare di spiegare la propria birra, o meglio, l’idea che sta prima della birra stessa: ha voluto "mettere nella birra l’aria del luogo". Birra a fermentazione spontanea, né lieviti né batteri, il mosto ha riposato per tutta una notte all’aperto, sul cassone di un camion sotto la luna piena, in modo da assimilare tutti i lieviti selvaggi presenti nell’aria stessa; usati solo malto italiano e una piccola percentuale di luppolo selvatico. Il risultato è ottimo, la birra è in una forma migliore rispetto ad un mio precedente assaggio: molto ben bevibile, il centro bocca si pulisce rapidamente e la leggera acidità ne alleggerisce il finale. Esperimento riuscito: si vede che dalle sue parti anche l’aria è buona.
E’ stato poi il turno di Beppe Vento del BI-DU, con la sua particolarissima H10OP5, che deve il proprio nome al fatto che per brassarla sono stati impiegati ben 10 tipi diversi di luppoli, usati in 5 fasi diverse della lavorazione. La cosa stupefacente, che ha lascito letteralmente tutti a bocca aperta, è stato il fatto che Beppe è stato capace di elencare (senza interruzioni o tentennamenti) i nomi di tutti e 10 i luppoli da lui impiegati. Ma erano solo le 12,30 …. e chi conosce Beppe capisce … Colpisce, comunque, la sua birra per l’equilibrio generale, aiutato anche dall’utilizzo di malto inglese pale che non contrasta i luppoli: asciutta, floreale, poco frizzante, con "la parte resinosa del luppolo che si impadronisce del fondo del palato" (Luca Giaccone dixit).
Sergio Ormea del GradoPlato poi è stato chiamato a presentare la sua eccezionale Chocarrubica, per la quale ha usato oltre all’avena (in grani e in fiocchi) e alle fave di cacao del Venezuela (tostate a Vicoforte), la carruba, un legume atipico, molto diffusa nel sud Italia. Sempre molto misurato nell’esposizione, senza nessuna falsa modestia ha detto che questa birra "gli è scappata", produttivamente parlando, guardando un documentario in Tv sul dopo guerra in Italia, con gli americani che portavano cioccolata per tutti e con il sud che subito si è organizzato a ricopiarla con quello che aveva in mano, la carruba cioè, molto simile nel gusto al cacao. La birra è uno spettacolo: densa, corposa, color nero della notte, con il palato che si riempie completamente delle note del cacao, ma non satura grazie ad una nota acidula nel finale. È una birra chewey, masticabile (semper Giaccone dixit), ed è un complimento.
Così come solo complimenti sono stati riservati alla Febbre Alta, presentata da Dano, alias di Daniele Mainero mastro birraio del Troll. Birra dalla bella storia, narrata con lucidità da Dano, che la "costruisce" con 16 erbe una sola volta l’anno, perché solo in quel periodo riesce a trovarle tutte. Nata dalla rivisitazione di una ricetta del 1600 quando si usava il gruyt, sostituito poi dal luppolo, è complessa e variegata, con l’amaro che gli viene conferito dalle foglie di carciofo e il profilo balsamico che deriva dall’uso di germogli di pino (raccolti a febbraio e quindi resinosi). E’ birra ambrata, densa, con i lieviti in sospensione e un’idea di fiori di sambuco, con un flash gustativo che la fa accostare ad alcuni amari, comunque fantasiosissima.
Dulcis in fundo, è proprio il caso di dirlo, è la Sedicigradi del birrificio Birra del Borgo, ultimo, in ordine di tempo, esperimento produttivo di Leonardo di Vincenzo. Che l’ha spiegato a tutti, a partire dalla cotta fatta nel settembre del 2007, i 20 giorni della fermentazione primaria, i lieviti di champagne, il blocco della fermentazione (fatta in barrique di rovere francese) per 6-7 mesi a causa del freddo di Borgorose, e la "ripartenza" della fermentazione in primavera. Il tutto è durato 12 mesi: ma ne è valsa sicuramente la pena. Una barley wine con i controfiocchi, dall’aroma rustico e legnoso, dal gusto liquoroso e morbido, alcolica senza essere eccessivamente potente, dal finale lungo e caldo.
Avevo detto all’inizio 6 birrifici con 6 birre, e ne ho recensiti solo 5. Per carità di patria ometto di parlare del 6° birrificio e della 6° birra: ancora oggi non ho capito cosa ci facesse, in un panorama così solido, di lunga tradizione e di provata esperienza, la prova produttiva di un giovane mastro birraio dell’Italia Centrale che di fatto si è dimostrato un vaso di coccio fra imponenti vasi di ferro. Non era proprio il caso.
Alberto Laschi
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