©Alberto Laschi - parte 2 - parte 1
6. Il luppolo, la produzione su larga scala, il medioevo conventuale tedesco, la nascita delle birre lager.
Fino all’avvento del luppolo, la birra veniva prodotta aggiungendo al mosto una mistura di erbe aromatiche chiamata gruyt, la cui composizione era variegata e spesso misteriosa. Sicuramente nel gruyt erano presenti il mirto, il rosmarino e il millefoglie, prugnolo, corteccia di quercia, assenzio, seme di cumino selvatico, anice, genziana e rosmarino; per le birre più forti si ricorreva anche alla cannella, ai chiodi di garofano allo zenzero e al pepe, spezie che avevano anche la funzione di mascherare eventuali retrogusti non corretti e l’acidità della birra stessa. Furono le scoperte botaniche di una suora tedesca benedettina, Santa Hildegard von Bingen (1098-1179) dell’abbazia di St. Rupert in Germania, a favorire l’introduzione all’interno del processo produttivo della birra del luppolo. Essa mise in evidenza l’importante funzione stabilizzatrice di questa pianta, che in pratica arresta il processo di putrefazione della birra, allungandone quindi la vita anche commerciale; inoltre il luppolo conferiva una certa freschezza al gusto della bevanda.
Fu una vera e propria rivoluzione tecnico-produttiva e commerciale. Si ritiene che le comunità religiose dell’Europa centrale siano state le prime a sfruttare su larga scala la scoperta della monaca tedesca, anche perché fin dal VII secolo si hanno notizie riguardo l’esistenza di terreni abbaziali coltivati a luppolo. All'epoca della loro massima diffusione (prima della cosiddetta secolarizzazione avvenuta nel 1803) le birrerie conventuali nella sola Germania erano quasi 300: oggi ne sono in funzione solo sei, mentre un'altra ventina ha mantenuto il diritto di fregiarsi ancora dell'attributo "Klosterbrauerei" (birreria conventuale: è una specie di patente di lunga tradizione e serietà) pur essendo la gestione passata a proprietari laici. La più antica fra le 6 birrerie conventuali tuttora in funzione è quella di Weihenstepahn a Weltenburg, a una trentina di chilometri a sud-ovest di Ratisbona, fondata nel 1050 e rimasta da allora ancora in funzione.
Sempre in Germania, nel XVI secolo, i monaci della Baviera trovarono il modo di rivoluzionare ulteriormente il processo produttivo e conservativo della birra. Nei mesi estivi il grande caldo alterava frequentemente il processo fermentativo della birra, spesso rovinata dall’intervento di batteri infettivi. Il fenomeno era così grave che nel 1533 il principe Massimiliano I ordinò che chiunque avesse voluto produrre birra fra il 23 aprile e il 29 settembre di ogni anno lo poteva fare solo dietro esplicita autorizzazione del principe stesso. Per ovviare al problema, nei monasteri tedeschi si pensò di conservare la birra prodotta immagazzinandola in fresche cantine scavate nella roccia (come quelle ancor oggi visitabili del convento di Weltenburg). La birra conservata al fresco si manteneva più a lungo, ma si evidenziava anche un cambiamento del comportamento del lievito in essa presente, il quale, a basse temperature, si depositava sul fondo dei barili e fermentava più lentamente. Da allora la birra prodotta in questo modo prese il nome tedesco di lager (deposito, magazzino).
Nel Medio Evo, e poi per un lungo periodo, la produzione della birra rimase quindi saldamente in mano ai monaci e, in parte minore, anche ai nobili; solo quando la domanda erta troppo forte rispetto alla capacità produttiva interna, veniva concessa a privati la licenza di produrre in cambio di vere proprie royalties dell’epoca.
Fu una vera e propria rivoluzione tecnico-produttiva e commerciale. Si ritiene che le comunità religiose dell’Europa centrale siano state le prime a sfruttare su larga scala la scoperta della monaca tedesca, anche perché fin dal VII secolo si hanno notizie riguardo l’esistenza di terreni abbaziali coltivati a luppolo. All'epoca della loro massima diffusione (prima della cosiddetta secolarizzazione avvenuta nel 1803) le birrerie conventuali nella sola Germania erano quasi 300: oggi ne sono in funzione solo sei, mentre un'altra ventina ha mantenuto il diritto di fregiarsi ancora dell'attributo "Klosterbrauerei" (birreria conventuale: è una specie di patente di lunga tradizione e serietà) pur essendo la gestione passata a proprietari laici. La più antica fra le 6 birrerie conventuali tuttora in funzione è quella di Weihenstepahn a Weltenburg, a una trentina di chilometri a sud-ovest di Ratisbona, fondata nel 1050 e rimasta da allora ancora in funzione.
Sempre in Germania, nel XVI secolo, i monaci della Baviera trovarono il modo di rivoluzionare ulteriormente il processo produttivo e conservativo della birra. Nei mesi estivi il grande caldo alterava frequentemente il processo fermentativo della birra, spesso rovinata dall’intervento di batteri infettivi. Il fenomeno era così grave che nel 1533 il principe Massimiliano I ordinò che chiunque avesse voluto produrre birra fra il 23 aprile e il 29 settembre di ogni anno lo poteva fare solo dietro esplicita autorizzazione del principe stesso. Per ovviare al problema, nei monasteri tedeschi si pensò di conservare la birra prodotta immagazzinandola in fresche cantine scavate nella roccia (come quelle ancor oggi visitabili del convento di Weltenburg). La birra conservata al fresco si manteneva più a lungo, ma si evidenziava anche un cambiamento del comportamento del lievito in essa presente, il quale, a basse temperature, si depositava sul fondo dei barili e fermentava più lentamente. Da allora la birra prodotta in questo modo prese il nome tedesco di lager (deposito, magazzino).
Nel Medio Evo, e poi per un lungo periodo, la produzione della birra rimase quindi saldamente in mano ai monaci e, in parte minore, anche ai nobili; solo quando la domanda erta troppo forte rispetto alla capacità produttiva interna, veniva concessa a privati la licenza di produrre in cambio di vere proprie royalties dell’epoca.
7. La rivoluzione francese, la rivoluzione industriale, i trappisti e la produzione monastica odierna.
La produzione monastica di birra subì la prima, pesante battuta d’arresto, dalla rivoluzione francese e le conseguenti conquiste napoleoniche in tutta Europa. Tutte le abbazie presenti all’interno del territorio attraversato dagli eserciti napoleonici risentirono pesantemente dei saccheggi e degli espropri, volti a colpire la chiesa, gli ordini religiosi e i loro simboli. Molte abbazie vennero rase al suolo, altre videro annientati i propri stabilimenti produttivi, quasi tutte si videro costrette a ridurre drasticamente la propria capacità produttiva, se non ad interromperla definitivamente. Dopo questo periodo turbolento che durò in Europa per diversi decenni, una volta tornata la pace, l’industrializzazione sempre più evoluta e le nuove leggi di mercato resero sempre meno conveniente esercitare qualsiasi tipo di attività artigianale, produzione della birra compresa. Per questo molti ordini religiosi decisero di rinunciare progressivamente alla produzione in proprio delle birre da essi stessi create: preferirono cedere nome e ricette ad aziende del settore che produssero le birre dei monaci in cambio del versamento di royalties all’ordine religioso stesso. La seconda guerra mondiale, con le sue immani distruzioni, assestò l’ultimo, pesantissimo colpo alla produzione monastica di birra. L’unica eccezione fu rappresentata dai Padri Trappisti dell’ Ordine dei Cisterciensi della Stretta Osservanza, che prima della rivoluzione francese contavano almeno sei birrerie Trappiste in Francia, sei in Belgio, due in Olanda, una in Germania, una in Austria e probabilmente anche in altri paesi. Alcune delle abbazie trappiste riuscirono a continuare a produrre in proprio le loro birre di altissime qualità, con successo sempre crescente, tanto che numerose birrerie non autorizzate cercarono di sfruttare commercialmente il prodotto e il logo. Tutto questo portò i monaci a prendere provvedimenti volti a tutelare la propria immagine e soprattutto l’autenticità dei propri prodotti. Nel 1997 infatti otto abbazie Trappiste - sei del Belgio, (Orval, Chimay, Rochefort, Westmalle, Westvleteren e Achel), una Olandese (Koningshoeven) e una Tedesca (Mariawald) - fondarono l'Associazione Trappista Internazionale (ITA), che, fra gli scopi statutari, aveva anche quello di prevenire l'uso improprio del marchio Trappista da parte di compagnie commerciali non autorizzate. Quest'associazione creò un logo che può essere assegnato a vari prodotti (formaggio, birra, vino, etc.) che rispettino precisi criteri di produzione.
Per le birre i criteri prescritti sono i seguenti:
• La birra deve essere prodotta all'interno delle mura di un'abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo.
• La produzione, la scelta dei processi produttivi e l'orientamento commerciale devono ovviamente dipendere dalla comunità monastica.
• Lo scopo economico della produzione di birra deve essere diretto al sostentamento dei monaci, alla beneficienza e non al profitto finanziario.
Attualmente sono solo sette birrerie sono autorizzate a etichettare le proprie birre con il logo Authentic Trappist Product, le 6 del Belgio e l’olandese De Koningshoeven, alla quale fu revocato temporaneamente l’uso del logo dal 1999 all’ottobre 2005, perché era venuta meno ad uno dei tre criteri fondanti.
Per le birre i criteri prescritti sono i seguenti:
• La birra deve essere prodotta all'interno delle mura di un'abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo.
• La produzione, la scelta dei processi produttivi e l'orientamento commerciale devono ovviamente dipendere dalla comunità monastica.
• Lo scopo economico della produzione di birra deve essere diretto al sostentamento dei monaci, alla beneficienza e non al profitto finanziario.
Attualmente sono solo sette birrerie sono autorizzate a etichettare le proprie birre con il logo Authentic Trappist Product, le 6 del Belgio e l’olandese De Koningshoeven, alla quale fu revocato temporaneamente l’uso del logo dal 1999 all’ottobre 2005, perché era venuta meno ad uno dei tre criteri fondanti.
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