di Alberto Laschi
Le stout, ovvero una famiglia. “La” Guinness? “La” pater familias, forse, quella più conosciuta sicuramente, e anche quella più imitata. Nel Regno Unito la “famiglia” si allarga nelle sue declinazioni di Irish dry stout, Sweet Stout o Milk stout, Oatmeal Stout, Imperial stout, Chocolate e Coffe stout, solo per fermarsi alle filiazioni non spurie. Birre “orgogliose e impavide”, sicuramente “forti”, sinonimo di birra scura, più o meno addolcita nelle sue declinazioni anglosassoni, hanno fatto la fortuna di più di una puerpera scarsa di materia prima e di atleti con il fisico da scolpire. Ad entrambe le categorie di cui sopra venivano “somministrate” regolarmente (e abbondantemente), con evidente successo, e i donatori di sangue irlandesi se la vedevano recapitare in “premio” dopo una donazione, perché ricca di ferro e quindi adatta a reintegrare le sostanze ematiche elargite.
Questo nel Regno unito, dove le stout spopolano, si può dire, dalla fine del XVIII secolo. Il Belgio poteva rimanere indietro, quando si parla di birra? Certo che no, e quindi anche i mastri birrai belgi si organizzano e si danno da fare, a partire dal XIX secolo: nascono e riscuotono subito un grande successo le stout belghe, bevute abbondantemente da tutti quelli che, a causa di un pesante carico di lavoro, necessitavano di una bevanda dall’importante apporto calorico. Ancora oggi le stout belghe sono presenti sul mercato, con un impatto non rilevantissimo, ma occupando una nicchia di tutto rispetto. Mediamente più alcoliche delle “cugine” inglesi (simili, al limite, alle Imperial stout), ma soprattutto più “variate” (cioè speziate), e, trattandosi del Belgio, è osservazione quasi pleonastica. Difficile, d’altra parte, trovare un mastro birraio belga “banale”.
La produzione belga di stout è quasi “divisa” in due sottosezioni: d’altra parte il Belgio è il paese diviso per definizione …
La prima è quella delle stout dolci (a volte quasi stucchevoli) e/o leggere, come la Wilson della Van Steenberge, la Leroy Stout, la Louwage Stout, la Stoute Bie della De Bie, la Belgian Angel Stout e la Callewaert. La seconda invece annovera fra i suoi prodotti di elite la Hercule della Ellezelloise, la Black Albert degli Struise e la DeDolle Extra stout Export, e si caratterizza per una gradazione alcolica più robusta e una ricchezza e complessità di tutto rispetto, che le stout inglesi normalmente non evidenziano.
Le stout, ovvero una famiglia. “La” Guinness? “La” pater familias, forse, quella più conosciuta sicuramente, e anche quella più imitata. Nel Regno Unito la “famiglia” si allarga nelle sue declinazioni di Irish dry stout, Sweet Stout o Milk stout, Oatmeal Stout, Imperial stout, Chocolate e Coffe stout, solo per fermarsi alle filiazioni non spurie. Birre “orgogliose e impavide”, sicuramente “forti”, sinonimo di birra scura, più o meno addolcita nelle sue declinazioni anglosassoni, hanno fatto la fortuna di più di una puerpera scarsa di materia prima e di atleti con il fisico da scolpire. Ad entrambe le categorie di cui sopra venivano “somministrate” regolarmente (e abbondantemente), con evidente successo, e i donatori di sangue irlandesi se la vedevano recapitare in “premio” dopo una donazione, perché ricca di ferro e quindi adatta a reintegrare le sostanze ematiche elargite.
Questo nel Regno unito, dove le stout spopolano, si può dire, dalla fine del XVIII secolo. Il Belgio poteva rimanere indietro, quando si parla di birra? Certo che no, e quindi anche i mastri birrai belgi si organizzano e si danno da fare, a partire dal XIX secolo: nascono e riscuotono subito un grande successo le stout belghe, bevute abbondantemente da tutti quelli che, a causa di un pesante carico di lavoro, necessitavano di una bevanda dall’importante apporto calorico. Ancora oggi le stout belghe sono presenti sul mercato, con un impatto non rilevantissimo, ma occupando una nicchia di tutto rispetto. Mediamente più alcoliche delle “cugine” inglesi (simili, al limite, alle Imperial stout), ma soprattutto più “variate” (cioè speziate), e, trattandosi del Belgio, è osservazione quasi pleonastica. Difficile, d’altra parte, trovare un mastro birraio belga “banale”.
La produzione belga di stout è quasi “divisa” in due sottosezioni: d’altra parte il Belgio è il paese diviso per definizione …
La prima è quella delle stout dolci (a volte quasi stucchevoli) e/o leggere, come la Wilson della Van Steenberge, la Leroy Stout, la Louwage Stout, la Stoute Bie della De Bie, la Belgian Angel Stout e la Callewaert. La seconda invece annovera fra i suoi prodotti di elite la Hercule della Ellezelloise, la Black Albert degli Struise e la DeDolle Extra stout Export, e si caratterizza per una gradazione alcolica più robusta e una ricchezza e complessità di tutto rispetto, che le stout inglesi normalmente non evidenziano.
©Foto di Filip Geerts
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