sabato 12 luglio 2008

La Gueuze

© Kuaska (Lorenzo Dabove).
da Birre Italia Annuario 2004 - 2005a cura di Pasquale MuracaBeverfood Edizioni www.beverfood.com

Detta “lo champagne del Belgio” la spumeggiante gueuze (geuze in fiammingo) nasce dall’assemblaggio di due o più lambic di età diversa effettuato per lo più dagli stessi produttori ma in alcuni casi quest’arte viene praticata da puri assemblatori che acquistano il lambic dai produttori che preferiscono. La gueuze prende il nome probabilmente dal termine “gueux” (pezzente) perché nella regione era la bevanda dei poveri mentre il vino trovava posto solo sulle tavole dei potenti. Le caratteristiche aromatico-palatali sono vicine a quelle del lambic sopra descritte ma la fermentazione supplementare, oltre alla frizzantezza, conferisce alla gueuze una complessità e una finezza molto più marcate. L’assemblatore di lambic (che non deve essere sempre necessariamente lo stesso produttore) deve assolutamente avere una sensibilità olfattivo-gustativa molto sviluppata (spesso innata o ereditata) verso questa bevanda per riuscire a trovare la “propria” gueuze, quella e solo quella che lo possa soddisfare ed identificare. Una sensibilità e una unicità che paragonerei a quella di un musicista che ricerca il proprio “suono” nella pratica di uno strumento. Un detto locale sentenzia “une vrai gueuze doit puer” (una vera gueuze deve puzzare”) e questa “puzza” deve essere padroneggiata dall’artista-assemblatore che vuole dare un’impronta originale alla sua creatura. Tradizionalmente la gueuze tradizionale, di gradazione intorno al 5-6% vol. alc., si ottiene dalla rifermentazione in bottiglia di una miscela di lambic giovani, che apportano carboidrati fermentescibili mentre i lambic invecchiati contengono le destrinasi, prodotte dai vari microrganismi, necessarie all'idrolisi delle destrine. L’assemblaggio, come dicevo prima, è una vera e propria arte: il birraio sceglie i componenti della miscela tenendo conto delle loro caratteristiche di gusto ed acidità al fine di ottenere un prodotto che, dopo la rifermentazione e la maturazione, abbia le caratteristiche tanto desiderate. Lo scopo di quest’appassionante miscelazione è quello di ricostituire la frazione destrinica da parte del lambic giovane in modo da permettere la rifermentazione in bottiglia con produzione di CO2. Ovviamente le proporzioni di lambic giovani e vecchi sono variano da un birraio all’altro. Sempre che non stiano mentendo (cosa comune nei birrai di tutto il mondo ma molto accentuata in quelli belgi, gelosi di cotanta tradizione), alcuni birrai indicativamente utilizzano il 50% di lambic di un anno, e un quarto di due anni e un quarto di tre anni mentre altri preferiscono mettere due terzi di lambic di un anno e un terzo di lambic invecchiato due o tre anni e altri più di nove decimi di lambic di due anni e solo un decimo di lambic che ha fermentato solo per qualche settimana. Dopo la miscelazione si passa l'imbottigliamento cui segue la rifermentazione che dura circa 4-6 mesi con un metodo quindi simile a quello usato per lo spumante italiano metodo classico. Le bottiglie coricate nelle buie cantine riposano indisturbate finchè si deciderà di portarle al tavolo, sempre nella stessa posizione orizzontale, maneggiandole delicatamente prestando la massima cura per non agitare i lieviti depositatisi. Quanti bambini belgi hanno preso uno scappellotto dai loro padri per non aver rispettato questa primaria fondamentale regola! Scappellotti che andrebbero ancora oggi dati a quei (numerosi) gestori di caffè che non istruiscono debitamente il loro staff.
Foto 1-2 © Steven Vermeylen
Foto 3 © Vanessa Rusci

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